I deambulatori dei passi perduti

Era un rumore di metallo, quasi strascicato sull’asfalto, con lentezza, con la cadenza regolare di ruote, accompagnate da un passo altrettanto regolare.Il rumore non mi ricordava il motore di un’automobile e nemmeno il frusciare delle ruote di una bicicletta, non erano pattini e tantomeno skate, non erano Vespe, Lambrette (Lambrette?), moto e motorini. Ovviamente.

Stavo leggendo un libro e la fantasia mi suggerì che fosse un fantasma, ma un fantasma stanco e lento, che aveva preso l’abitudine di trascinare le sue catene per terra. Un ectoplasma che non aveva nemmeno più la forza di sollevare quell’inutile collare.
Finalmente presi il coraggio ed uscii dalla porta, con una qualche scusa, e li salutai. Una donna anziana spingeva il deambulatore, al quale appoggiava le mani e le braccia; la accompagnava da un lato il figlio, che teneva una mano sull’attrezzo di metallo. Pensai che fosse un gesto di sicurezza, per impedire al deambulatore di scivolare via, ma forse era soprattutto un gesto d’affetto, un modo per impedire che la madre se ne andasse, via, da sola. Per sempre.

Confesso di essermi fatto una piccola cultura personale su deambulatori, esercitatori, girelli per anziani, con appoggio antibrachiale, d’acciaio cromato, pieghevole, puntato, walk on roll, a quattro ruote con sedile e cestino. Poi lo vidi, senza farmi una ragione del perché fosse mischiato a loro: era un girello per bambini. Moderno, e molto diverso da quello che avevo usato anche io, qualche decina di anni fa. Un cono troncato, tutto di legno, con le sue ruotine, per muoversi, ma poco perché gli appartamenti erano piccoli e le strade più spesso di terra battuta che d’asfalto, dalle nostre parti. Ho perso la foto, ma non il ricordo di quel girello, che serviva più a tenermi occupato mentre mia madre lavorava, piuttosto che a imparare a camminare.

Forse anche il figlio di quella donna anziana aveva avuto un suo girello, che fosse per stare fuori dai piedi della madre o per imparare a muovere i suoi passi poco importa, ed ora le parti si erano rovesciate. Lui accompagnava la madre, in un disperato gesto d’affetto, con la ovvia volontà di un figlio di vederla muovere ancora i passi nella vita, ma io credo che lui sapesse bene dove stesse andando e perché e come.
Ora so riconoscere lo strascicato sferragliare delle ruote e conosco gli orari in cui passa questo singolare treno, e se lo sento ritardare me ne accorgo e un poco mi preoccupo.

Qualche volta, poche per la verità, fingo di uscire di casa per salutare la madre e il figlio; no, non è bontà e nemmeno un senso di compassione, cioè di partecipazione emotiva. No, li guardo sorpassarmi, trascinarsi più avanti lungo la strada e immagino che quella donna anziana sia mia madre. E non ho più il coraggio di guardare le loro schiene allontanarsi.

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