Oggi ho detto a mia figlia Ilaria che vi fu un tempo in cui gli scrittori e i musicisti classici andavano nelle fabbriche.
Llo fecero, per esempio, alcuni degli autori invitati a Modena per il Festival del libro economico a metà degli anni Sessanta, ed erano autori importanti.
Quella esperienza aveva un pensiero, che si rivelò poi fragile ma forse non sbagliato: i luoghi comuni e il perbenismo misero fine in massima parte a quella strategia culturale.
Guardatela dal punto di vista del marketing: il teatro e la musica classica allargavano il proprio pubblico. Un operaio lo dice chiaramente, nel filmato, che era la prima volta che aveva la possibilità di ascoltare un concerto e di ascoltare Beethoven.
Altra cosa furono i concerti tenuti o nel grande fiume delle lotte della fine degli anni Sessanta o delle lotte per crisi aziendali, come è il caso della fabbrica ligure nella quale si tenne il concerto di un giovane Maurizio Pollini e dell’orchestra del Teatro Comunale di Genova.
Francamente non so se questa fabbrica, allora occupata da più di due mesi, si sia mai ripresa. Però, lasciate perdere i vostri pensieri anziani sulla demagogia e dintorni. Guardare quegli uomini e quelle donne, che spesso si misero il vestito della festa, ancora oggi mi fa credere che quel concerto li avesse mutati da forza lavoro in cittadini. E non è poco.
Questa stagione è storia scritta e finita. Eppure, sento che può dirci ancora qualcosa.