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Lo schermo non ha ucciso le radio (ma i quotidiani forse sì)

Sono stati pubblicati i dati sugli investimenti pubblicitari del mese di gennaio (2017, s’intende).  Nulla di veramente nuovo, se non che continua l’agonia dei quotidiani, i quali sono alla canna del gas e di gas ne esce sempre meno.

A guardare i segni più e meno, è un calo a doppia cifra: dire drammatico è dire poco.

Complessivamente, il mercato è stazionario, quindi gli spostamenti verso un settore ne penalizzano un altro: insomma, il 100 di un anno fa è rimasto 100, non è cresciuto, ma dentro a quella ipotetica somma, se qualcosa è andato a premiare la radio o il web, quel qualcosa è stato preso dai soldi che prima si investivano sui quotidiani o sui periodici. Appunto.

Radio e web aumentano ma non a doppia cifra: è una salita probabilmente costante, anche se ha avuto anch’essa alti e bassi nei mesi passati.

Però, se ci fermiamo a guardare l’ultima colonna rischiamo di non leggere bene i dati. Allora ci accorgeremmo che la televisione incassa dalla pubblicità sette volte quanto incassano i quotidiani e dodici volte gli introiti del web: come a dire, attenti alle proporzioni. E, di conseguenza, anche al peso che le tv hanno sugli utenti-cittadini. L’offerta televisiva non solo non è crollata ma si è ampliata e diversificata: le tv generaliste continuano (la domanda è sempre: fino a quando?) a macinare alti indici di ascolto e sono state affiancate dalle tv a pagamento e dalle nuove che trasmettono solo sul web. Sono tv che si rivolgono a target specifici, di solito culturalmente attenti e pronti a spendere qualche euro in più per avere le serie di Sky o di Netflix. Insomma, tutti a guardare il dito ma nessuno la luna che il dito indicava.

Se torniamo a guardare le cifre ci accorgiamo anche che gli introiti del web sono oramai più della metà di quanto portino a casa i quotidiani: al netto delle cifre gonfiate, fornite da qualche gruppo editoriale in tempi recenti, sarebbe interessante capire se questo web rappresenta un canale autonomo (come Sky e Netflix, appunto) oppure è l’estensione sotto altra veste dei quotidiani, paragonabili alle tv generaliste.

Ultimo ma non ultimo. Non ho sottomano la serie storica degli incassi pubblicitari delle radio, eppure quest’ultimo rilevamento ha per loro un segno positivo. Le tv non hanno spento la stella della radio. Non ancora, e comunque non lo faranno più.

Ps questa mia analisi non è solo rozza ma anche fuori fuoco: pensare separati questi media è roba vecchia e superata, poiché non esiste trasmissione tv che non pianifichi un forte lavoro sui social (sul web, dunque) e, appena può, sulle radio. A volte, anche gestendo la pubblicità dinamica sugli autobus o forme promozionali below the line.

 

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