Il crollo dei quotidiani è il sintomo del crollo della democrazia

Ogni mese guardo i dati delle vendite dei quotidiani italiani e ogni mese leggo il segno meno davanti alle cifre. Vendono meno di un terzo rispetto a pochi anni fa. E ogni mese leggo anche i dati della raccolta pubblicitaria e ogni mese guardo il segno meno davanti alle cifre. Quest’anno hanno perso un altro 9,1%.

Un crollo più che una discesa, un naufragio e non la mancanza di vento.

Mi sono sempre detto che l’informazione si è spostata da qualche altra parte, ancora più facile da trovare e ancora meno costosa. Anzi, a costo zero.

Non credo al costo zero e non credo al baratto. Le televisioni commerciali non vivono di beneficenza e i produttori scaricano i costi della pubblicità o sui lavoratori o sui consumatori.

Sono a favore della pubblicità, sono contro tutti i pirla come me che credono ancora nelle favole.

Neppure mi va di buttarla in vacca, accettando per buona la facile analisi che i giornali sono fatti male, faziosi, superflui, di parte, dominati dai proprietari ricchi e dalle lobby ancora più ricche.

Il crollo dei giornali è solo uno dei sintomi del crollo della democrazia. Chi pensa che si possa fare a meno dei giornali pensa anche (lo dico all’ingrosso) che si possa fare a meno della democrazia.

Non farò come fece il presidente Saragat, al quale venne attribuita la rampogna contro “il destino cinico e baro”. Non credo nemmeno nel destino, tantomeno in quello cinico e baro. E posso accettare anche l’analisi secondo la quale i giornali riflettono a modo loro tutti i mali della democrazia italiana e ne vengono corrosi.

Sto scrivendo in un blog e, quindi, si presume che io sappia navigare nel web. Che lo sappia anche utilizzare. Ma no, di questo sono assai meno sicuro.

Poche settimane fa il sito online Alibaba (proprietà del cinese Jack Ma) in un solo giorno, denominato il giorno dei single,  ha venduto merce per 253 miliardi di dollari. Il 90% delle transazioni è avvenuta via smartphone.

Anche la maggioranza degli italiani, soprattutto i giovani, navigano sul web dal telefonino e non dal pc.

Smartphone simbolo di indipendenza, di autonomia, di libertà? Penso che l’unico aggettivo che si possa associare è “portabilità”. A me pare che, lo dico all’ingrosso, sia terminata l’epoca inaugurata a modo loro dai personal computer, che staccarono il filo che legava i terminali al cervellone centrale. Di solito un IBM (come Hal, per intenderci, che ne riprendeva l’acronimo spostando all’indietro le tre lettere).

Gli smartphone sono i terminali della nostra epoca, legati da un filo invisibile ai negozi che spacciano notizie e filmati, tutti rigorosamente gratuiti, e agli shop dove la merce si compra con soldi veri. Le scarpe e i vestiti, gli occhiali da sole e i frullatori non li regalano. Non ancora.

La falsa gratuità delle notizie, che trova una base di finanziamento nella raccolta pubblicitaria, significa lo smantellamento totale del mediatore professionale, ovvero del giornalista.  qui,

Esisteranno ancora i professionisti delle informazioni? Penso proprio di sì: pochi, ben pagati e a disposizione di chi avrà molti soldi.

Nel nuovo Colosseo globale, i “panem et circenses” sono proprio le informazioni gettate in pasto alla maggioranza di tutti noi. Allo stesso modo, si gettano in pasto l’informazione e la democrazia ad un numero sempre maggiore di cittadini. E noi seduti comodi ad applaudire belve e gladiatori.

 

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