A mio padre andare a scuola non piaceva proprio e lui la licenza elementare non la prese veramente.Insomma, ufficialmente l’aveva ma penso gliela avessero un poco regalata. Come e dove davvero non lo so.
Quando era piccolo e andava a scuola lui fuggiva, uscendo dalla finestra e calandosi dal tubo di scolo della grondaia. Immagino se ne vantasse, allora, un piccolo e povero monello di campagna. Quando ne parlava sorrideva sempre un poco, ma come se sapesse che non era una cosa buona e giusta. No, il problema non era il piccolo trucco della licenza, no non era quello il suo cruccio; lui si vergognava di non aver avuto voglia di studiare. Quando era bambino lui pensava fosse solo un divertimento.
La sua non era una vergogna sociale: mio padre era nato nel 1921 e in quegli anni studiare era un optional, diciamo pure un lusso. Tutti dovevano saper leggere, scrivere e far di conto, poi si tirava una riga: di qua i pochi fortunati che potevano arrivare all’università, di là le plebi e i braccianti, la manodopera e la forza lavoro. Mio padre si vergognava perché poi da ragazzo era divenuto comunista e gli aveva detto che Gramsci li esortava tutti a studiare. C’era scritto anche sotto la testata dell’Unità, che lui leggeva sempre, ogni domenica.
Mia madre era esattamente il contrario: lei avrebbe voluto studiare ma non avevano un soldo che fosse uno e cominciò a lavorare dopo la licenza elementare. Perché lei la prese veramente la licenza, ed era anche brava e il suo maestro aveva detto a sua madre che era un peccato farla smettere e lui promise che le avrebbe pagato i libri, ma per il resto doveva pensarci lei. la fermò la povertà, non il desiderio di imparare.
Anche quando la sua mente era un mare nel quale galleggiavano alcuni ricordi come barche senza timoniere, mi ripeteva sempre questa sua storia. Quella era la nave ormeggiata nel suo porto mentale, sempre ferma e in attesa di partire.
Ps in ricordo dell’Ines, mia madre, che a sua insaputa moriva esattamente dieci anni fa.