Il disegno a sinistra, che mi rappresenta chiuso e ombroso forse anche più di quel che sono veramente, è dovuto alla mano molto riconoscibile di Wainer Vaccari. Un artista, e anche un amico.
Incontrai i suoi quadri per la prima volta tra il 1982 e il 1983. Andai a vedere una mostra della Galleria Mazzoli, che allora si trovava non lontano dal ristorante Oreste. Era la prima (o forse la seconda) fase del lavoro di Wainer, molto debitore all’espressionismo tedesco. O, almeno, così mi parve. Non potevo non amare quelle opere e, ritornato in redazione (lavoravo al quotidiano l’Unità), scrissi un breve articolo, che era una descrizione e anche un impacciato tentativo di analisi critica. Wainer non lo avevo ancora mai incontrato e neppure visto. Forse, perché a Modena ci si incontra e ci si guarda tutti.
Quella fase venne arricchita e ammorbidita, ma ha lasciato lavori per me molto interessanti. Poi sono venuti i quadri molto colorati, la serie dei pugili, degli sportivi, dei ritratti. Poi ancora una svolta, questa volta di compromesso tra vecchi soggetti ripresi e ripensati e il penultimo stile, che io ho sempre chiamato impropriamente “a pixel”. Da qualche tempo Wainer ha trovato una nuova tavolozza, che credo non lascerà indifferenti chi lo ha sempre seguito e amato. E ci saranno nuovi soggetti.
Ma alla base di tutto io credo che vi sia la sua mano felice nel disegnare. E’ vero che l’aver messo su carta quella storica rovesciata, quella che è poi divenuta il simbolo delle figurine Panini, è stata una fortuna e una piccola maledizione. Basta guardare nello scaffale d’archivio sul quale è collocata, sorridere e passare avanti per fare altro. Ancora. Ho trovato di grande efficacia i disegni che molto rapidamente schizzò, con pennello e gesto d’impronta giapponese; per il mio libro L’ombra della Torre (lo trovate nella sezione: Libri).
(Il dipinto grande sopra questa nota venne esposto anche in una grande mostra a Palazzo Reale, dedicata all’arte italiana dopo il 1968).