Era il 1945, e avete già capito molto. L’estate era arrivata di corsa, quell’anno, come un’Alfa lanciata sulla polvere della via Emilia tra Modena e Bologna.Da settimane aspettavano la grande festa danzante che i giovani comunisti stavano organizzando per festeggiare la Liberazione. Perché quella sarebbe stata l’estate della pace e dell’amore, ne erano sicuri. Gli amici si chiedevano l’uno con l’altro: vai a fidanzarti? E tutti rispondevano che, sì, era ora di fidanzarsi. Mia madre era arrivata in bicicletta dalla casa vicino al ponte, quello che era stato bombardato dagli Alleati e loro avevano sentito le bombe a un metro, ma erano ancora tutti vivi; mio padre andò a piedi, e lui veniva da più lontano, con tre amici, di quelli buoni, non so se mi capite.
La Casa rigata era un dancing all’aperto, aveva i tavolini, che quella volta non bastarono davvero, e il piccolo palco per gli orchestrali. Mio padre era un gran ballerino, non si perdeva un ballo e, se poteva, non si perdeva una dama. Gli piaceva estrarre il fazzoletto bianco, pulito e ben stirato, aprirlo e metterlo sulla schiena della ballerina, per non sporcarle in vestito. Ballarono tutta la sera e la notte, poi lui la riaccompagnò a casa. Fecero un pezzo di strada con la migliore amica di mia madre e uno degli amici di mio padre: anche lui la riaccompagnava a casa. Non fu l’unica coppia che tornò a casa assieme quella notte. Era l’estate del 1945 e tutto comincia da lì. Alla Casa rigata.