«Beppe Grillo non è responsabile, quindi non è autore, né gestore, né moderatore, né direttore, né provider, né titolare del dominio, del blog né degli account Twitter e Facebook, non ha alcun potere di direzione né di controllo su tutto ciò che viene postato». Il problema è che il blog al quale si riferiscono è proprio quello che porta il nome di Grillo.
I difensori di Beppe Grillo in una causa civile mossa dal Pd hanno scritto questa frase nella loro memoria difensiva. Insomma, Grillo sarebbe Grillo, ma a sua insaputa. Ma, allora, chi pensa, chi scrive, chi mette online al posto di Grillo?
Abusare della credulità popolare (e anche impopolare) è reato; dall’anno scorso, mi pare, “l’impostura deve essere rivolta verso un numero indeterminato di persone e deve avvenire pubblicamente, di conseguenza integrano la fattispecie in esame anche le condotte attuate a mezzo stampa o attraverso altro strumento di diffusione di massa.” Ed è il caso in questione.
E’ ovvio che le ipotesi sono due: o il blog è abusivo o il blog è autorizzato. Sarebbe anche interessante capire su quale base contrattuale (convenzione, contratto d’uso, franchising) la Casaleggio gestisca quel blog. Perché, per rimanere al franchising, un negozio Benetton mai venderebbe maglie e maglioni dei concorrenti, come Zara o H&M.
Ora, immagino che i giudici dovranno comunque stabilire chi è responsabile delle frasi querelate e, quindi, chi è responsabile davanti alla legge del blog. Grillo o Casaleggio? Oppure l’algoritmo che di nome fa: a mia insaputa?
Ps a parte il valore politico, questa causa potrebbe anche segnare un momento importante di analisi dei blog, a partire da chi ne porta la responsabilità nelle cause penali e civili.