Sentivamo il bisogno di un altro testo di Sergio Zavoli su Federico Fellini? E, ancora, Fellini può dirci qualcosa sul nostro tempo?Dipende dal punto di osservazione. Per esempio, si può restare ammirati dalla prosa fuori tempo di Zavoli e dalla sua retorica dolce. Ma poi, perché dovremmo chiedere al Federico qualcosa sul tempo nostro?
E’ uscito un libro a inizio anno, con un testo inedito di Fellini, forse il progetto di un film che non realizzò; l’ha curato Rosita Copioli e ha una prefazione, appunto di Zavoli. Il sito Chiamamicittà ne pubblica alcuni stralci (il link è in fondo a questo articolo).
Mi ha colpito la definizione-riflessione di Zavoli sul rapporto di Fellini con Rimini, argomento di chiacchiere da bar e disanime critiche. A me interessa perché ci suggerisce parecchio sul rapporto complicato che molti di noi hanno con l’antico borgo natio. Trascrivo:
“Fu così che cominciò a raccontare i suoi legami segreti con la città natale, la sotterranea, labirintica natura del suo voltarsi indietro, ogni tanto, per misurarsi con qualcosa che resisteva in una sorta di rovistata memoria; ammettendo di essersi voluto togliere da quel “pastrocchio” che è l’origine confusa con la sentimentalità: i borghi, le stradine, il garbino, i gabbiani, le lanugini, la nebbia, il Grand Hotel, la sirena del faro, lamentosa, inquieta; insomma il tiepido brivido che ritornava, ogni tanto, nell’esilio. Quella sera aveva in animo di tentare una riconciliazione, d’altronde mai del tutto esclusa e ancor meno ripudiata: infatti, al contrario di quanto gli scettici continuavano a credere, aveva un’idea tenera, placentale del suo simbolico “borgo”. Una volta confessò: “Tutto è come velato da qualcosa che non è cresciuto con me, né testimone né complice. Un po’ spaesato, questo sì, ma cerco di capire perché è rimasta la curiosità, la simpatia, e una lontana, vaga allegria”. (…).
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